A Palazzo Falletti di Barolo, uno dei più celebri salotti torinesi del Risorgimento, dal 13 settembre al 24 novembre è aperta al pubblico la 67° edizione della World Press Photo Exhibition. Nata nel 1955 ad Amsterdam, la World Press Photo Foundation si impegna nella tutela della libertà di stampa, di ricerca e di espressione, proponendo ogni anno un concorso mondiale di fotoreportage. Una giuria è tenuta a eleggere, in ciascuna edizione, i migliori scatti dell’anno precedente, suddividendoli per categorie (dal “Vincitore dell’Anno” alle “Menzioni d’Onore” ai “Progetti Singoli”, ecc), per tematiche e per contesto geografico. I progetti selezionati vengono, successivamente, riuniti ed esposti in una mostra di fotoreportage che, per l‘intero anno e contemporaneamente in diverse parti del mondo, apre le porte per supportare i fotografi e per far conoscere l’alfabetizzazione visiva a un pubblico più grande.
Da otto anni, l’evento è accolto anche a Torino, ed è lì che una residenza nobiliare seicentesca stende un tappeto rosso a fotografie di guerra, disastri ambientali, povertà e discriminazione.
Squillino le trombe. Il visitatore fa il suo ingresso. E ciò che vede è una distesa di storie appese a pannelli bianchi che contrastano con le pareti affrescate del palazzo. Storie tristi, diverse, spaventose e speranzose. Storie africane di figli che accudiscono i genitori vittime di demenza senile e, di conseguenza, isolati e stigmatizzati. Scene drammatiche conseguenti a un terremoto in Turchia, e di un padre che tiene la mano della propria bambina rimasta sotto le macerie dell’incuria e dell’abusivismo edilizio. Diapositive in bianco e nero di migranti rifugiati in Messico che, come funamboli, salgono sui treni e camminano sopra i vagoni, nella speranza di non perdere l’equilibrio. Squarci fotografici che sensibilizzano sugli sconvolgimenti climatici e sull’impatto letale che l’uomo americano ha sulla lenta scomparsa della farfalla monarca, considerata, evidentemente, un simbolo americano facilmente cancellabile. Ma, tra tutti i progetti, un’immagine sembra aver colpito maggiormente la giuria, tanto da eleggerla Vincitrice dell’Anno. A Palestinian Woman Embraces the Body of Her Niece è il titolo della fotografia scattata da Mohammed Salem: non è un semplice scatto, bensì un ritratto inanimato e impersonificato di due corpi, uno vivo e uno deceduto, che si avvinghiano nel loro ultimo saluto. Un abbraccio, diventato il simbolo dell’attuale guerra tra Israele e Palestina, tra Inas Abu Maamar e sua nipote di cinque anni, tra la vita e la mancanza di vita. Il percorso di visita si conclude, infine, con un memoriale che commemora e onora i giornalisti e fotoreporter che, dal 1992 fino ad oggi, hanno perso la vita inseguendo la loro vocazione.
Nell’elegante palazzo di Torino, la World Press Photo Exhibition è l’insieme di tutte le finestre di quello spazio che affacciano su ciò che succede in ogni parte del mondo e noi, spettatori inseriti dentro esso, non dobbiamo fare altro che guardare oltre il vetro di quelle finestre, uscire e sostenere il progetto, raccontando a gran voce quelle storie.