In quante parti può essere scomposto un film? Nella rubrica “La settima arte” ogni mese parleremo di una nuova pellicola da scoprire e guardare, o riguardare insieme nel weekend, provando ad analizzarla tra arte, design e colonne sonore.
Il mese di novembre 2024 ha celebrato il decimo anniversario dall’uscita di uno dei film di fantascienza che più è rimasto nel cuore degli spettatori: #Interstellar ci riporta avanti e indietro nel tempo alla ricerca di quel non so, che solo Nolan riesce a comunicare.
Trama
Con il premio agli Oscar del 2015 per i migliori effetti speciali, Interstellar racconta di un futuro senza speranza dove l’ex astronauta Cooper (Matthew McConaughey) viene coinvolto dalla Nasa, ente creduto ormai scomparso per una nuova missione: lottando contro lo spazio e il tempo egli dovrà trovare il modo di attraversare un blackhole (buco nero) vicino a Saturno per condurre la Terra in salvo in un’altra galassia. Solo in un nuovo pianeta è possibile infatti la vita per la razza umana.
Arte
Un “buco nero” attorniato dal bianco che, non incorniciato, evoca l’infinito, i confini dell’universo: quella rappresentata da Malevič in “Quadrato nero su sfondo bianco” può essere visto come un contrasto netto tra la terra e lo spirito.
L’opera infatti, porta lo spettatore ad interrogarsi sul significato di quel nero, dove tutta la materia sembra condensata e risucchiata in contrasto e all’interno del bianco che rappresenta invece l’universo e la vita.
I buchi neri di Interstellar rappresentano quella concentrazione di materia che, oltrepassata, porta lo spettatore ad affacciarsi ed affrontare uno spazio e un tempo diverso, dove, non solo esiste ancora la razza umana ma ci si interroga su quale futuro effettivamente possa esistere.
Le decisioni che prendiamo, esponendoci e confrontandoci ogni giorno con una “natura bianca” infinita attorno a noi si ripercuotono sulle nostre vite.
L’ opera di Nolan si approccia al reale in senso lato, portando quella che è una considerazione sulla vita stessa, sullo scorrere del tempo e sull’intrecciarsi degli spazi esistenti.
L’astrazione assoluta di Malevič, rappresenta la sintesi perfetta della riflessione novecentesca su spazio e tempo. Questa indagine, centrale nelle avanguardie artistiche, si intreccia con le scoperte della fisica, in particolare la teoria della relatività. Futuristi, Cubisti e Surrealisti esplorano lo scorrere del tempo e la simultaneità, mentre Kandinskij trascende il reale, riducendolo a leggi geometriche universali che superano le dimensioni tradizionali.
Queste idee trovano eco in Interstellar, dove il tempo diventa protagonista. Il contatto di Brand (Anne Hathaway) con il buco nero evoca La persistenza della memoria di Salvador Dalí, dove il tempo si dissolve insieme alla materia. Le visioni geometriche dello spazio ricordano invece le astrazioni di Kandinskij in Alcuni cerchi (1926).
Oggi, il dialogo tra scienza e arte prosegue attraverso la tecnologia, che ridefinisce la rappresentazione del reale. La scena del tesseract è emblematica: l’interno del buco nero, con le sue forme geometriche e astratte, ricorda le opere di arte digitale e AI. In questa dimensione, il tempo diventa tangibile, come un algoritmo visivo che sfida i confini della percezione umana, invitandoci a riconsiderare lo spazio e il nostro posto nell’universo.
Musica
La colonna sonora di Interstellar (2014), è considerata una delle opere più evocative di Hans Zimmer. Infatti, trascende il semplice accompagnamento, diventando una guida emotiva e concettuale nell’epopea cosmica che è questo film. Uno degli elementi distintivi della colonna sonora è l’uso predominante dell’organo, uno strumento appartenente alla tradizione liturgica che Zimmer reinterpreta in chiave moderna.
Registrato nella Temple Church di Londra, l’organo non è soltanto una scelta estetica: rappresenta l’eterno, l’umano e il divino, e riflette l’immensità dello spazio. La traccia “Cornfield Chase” rappresenta un perfetto esempio di come Zimmer riesca a mescolare la dolcezza e la tensione, accompagnando l’organo con il piano, creando così un’atmosfera che anticipi il viaggio nello spazio ma rimanga anche profondamente radicata a terra, dove sta Murphy. In “Mountains,” invece, il ritmo imita il ticchettio di un orologio, simbolizzando il tempo che scorre inesorabile. Qui Zimmer combina all’organo strumenti a corda e percussioni, creando un effetto di tensione crescente che immerge lo spettatore nell’angoscia dei protagonisti.
Zimmer abbandona le orchestrazioni complesse tipiche di molte colonne sonore hollywoodiane, optando per un minimalismo carico però di emotività. Un tema ripetuto, costruito su poche note, diventa un mantra.
Molteplici sono le citazioni artistiche inscritte nel film che, tuttavia, non si limita a riconfigurarne parti ma eleva ad arte i suoni che guidano la nostra fruizione. L’immaginario visivo di Nolan in dialogo con l’universo sonoro di Zimmer fossilizza la storia, dona corporeità e ci lega emotivamente.
Il film, risultato di una convenzione linguistica dei due linguaggi (immagine e suono), è fenomeno e strumento espressivo efficace dalla natura composita e sincretica. Nonostante la primarietà data teoricamente all’immagine rispetto al suono, affinché un testo audiovisivo funzioni è necessaria la creazione di un mondo possibile, credibile dallo spettatore. Ecco che la musica nel cinema contemporaneo ha un ruolo centrale: accompagnando l’interazione drammatica tra personaggi della storia, con la facoltà di mettere in risalto priorità morali, o di deviare la fruizione del film stesso e falsare gerarchie di valore reali.
Oggi soprattutto, il consumo di un audiovisivo (e delle sue parti) non è limitato ad una sala cinematografica. Non è un caso che l’album soundtrack Interstellar: Original Motion Picture Soundtrack – rilasciato due settimane dopo l’uscita del film nelle sale – abbia collezionato recensioni più che positive dai maggiori critici musicali e cinematografici e che, a dieci anni dalla pubblicazione, conti su Spotify milioni di ascoltatori mensili.