Sono le sette del mattino del 13 dicembre 2024 e Marracash, a sorpresa, ha appena pubblicato un nuovo album: tredici tracce, nessun featuring, in copertina una bolla di sapone in cui appare il riflesso del rapper in una sala dismessa, con il mobilio coperto da dei lenzuoli bianchi. Sono tornato nuovo di nuovo per finire il lavoro, canta in “POWER SLAP”: con questo progetto si conclude la trilogia inaugurata nel 2019 con il campione d’incassi “Persona” e proseguita in “Noi, loro, gli altri”.

In “Persona” iniziava un percorso in cui un rapper di periferia metteva in crisi le sue convinzioni, dalla carriera a tutto quello in cui aveva creduto e in “Noi, loro, gli altri” il conflitto che avevo dentro si allargava fino a diventare sociale, alla polarizzazione. 

Questo disco vuole essere un po’ la resa dei conti, un po’ “Il ritorno dello Jedi”, quello in cui i nodi arrivano al pettine. Mi interessava fare il disco più personale possibile.

Il titolo ha un triplice significato, soprattutto personale: dopo il successo degli ultimi anni, con l’esplosione del Marrageddon Festival e la conseguente scalata delle classifiche, l’artista ha dichiarato di essere andato in burnout, di aver percepito un senso di vuoto non appena si è fermato e di aver subito la pressione delle dinamiche del mercato. Ha capito che per uscirne doveva ricercare le sensazioni degli esordi, l’emozione dello scrivere senza la pressione delle discografiche né imponendosi delle tempestiche. 

In “GLI SBANDATI HANNO PERSO”, terza traccia dell’album il cui titolo riprende una citazione dal film “Il grande Lebowski”, esplicita la tematica, rivolgendosi schiettamente alla sua generazione, della quale critica l’ipocrisia:  

Chissà come andrà, solo a me sembra che tutti quelli che conosco in fondo sono fuori di testa? Come se una guerra l’abbiamo già persa, come in un Grand Prix 
Non ci fermiamo mai, mai, mai, mai
A chi chiederà: “Come va?” digli che avevamo solamente il sogno di una vita diversa
Tanto noi la pace l’abbiamo già persa
Ci piace così, tutti pieni di guai, guai, guai, guai

La pace a cui allude nel titolo non è solo personale e metaforica, ma anche concreta e storica: la tematica sociale e dell’attualità ha sempre spiccato nei testi di Marracash e in questo caso il disco vuole essere anche una denuncia al periodo storico corrente, che descrive come una “polveriera di guerra e non solo” e racconta perfettamente nel singolo “CRASH”.

La tracklist appare all’ascoltatore come una conversazione intensa con l’artista, un dipinto intimo dei suoi pensieri, della sua rabbia e delle sue sensibilità. 

Il brano “LEI”,  attualmente la traccia più ascoltata con più di un milione di stream su Spotify, è una dedica d’amore ad una lei della quale non conosciamo il nome (anche se molti fan hanno voluto sperare che si riferisse all’artista Elodie, con la quale ha avuto una relazione di due anni, conclusa simbolicamente dalla canzone Crazy Love contenuta in “Noi, loro, gli altri”); all’inizio viene presentata come una donna concreta e reale, con i tratti caratterizzanti della sua fisicità e del rapporto con lui, ma poi si allontana dall’autore, diventando una sorta di donna angelo stilnovista, la sua Beatrice alla quale aspirare: “Sogno di un amore, così forte che sopravviverà anche a sé (non credo che esista)

Il brano “TROI*”, in antitesi con il precedente,  presenta una chiave di lettura incerta: se volesse essere, come dichiarato, una polemica femminista, criticando il fatto che le donne con più uomini vengano denigrate mentre gli uomini con un harem no, se volesse essere una provocazione che punta il dito al gender gap, perché attribuirsi un termine discriminatorio nei confronti del genere femminile? 

La tematica della misoginia nei testi del rap italiano, anche se velata o meno esplicita, continua ad essere un topos ricorrente e debellarla con la stessa arma di chi la pratica può essere controproducente, ma sicuramente è positivo far emergere la problematica sessista.

In un’intervista Marracash ha raccontato che per lui questo progetto è un simbolo, a tutti gli effetti una bolla in cui per cinquanta minuti rimani lì fermo, uno spazio di tempo diverso dalle dinamiche sfreccianti ma ripetitive e alienanti dell’industria e della comunità:

La bolla è il disco, la bolla in cui sono stato io ma anche in cui siamo tutti. Viviamo l’epoca delle bolle, le carriere sono bolle, notizie che sembrano importantissime sono bolle”.

Grazie agli ultimi due dischi ha raggiunto la consapevolezza di poter raggiungere un pubblico ricettivo, che vuole altro e non si fa schiacciare dalle dinamiche del mainstream e del marketing, tematica riconducibile alla sua scelta di pubblicare “È finita la pace” senza preavviso né campagna promozionale. 

Rispettando il filone della semplicità e dell’immediatezza, non sono presenti featuring o collaborazioni con altri artisti, ma si possono scovare degli easter eggs: utilizza infatti dei campionamenti di pezzi italiani cantautorali, come Uomini Soli dei Pooh o Firenze (Canzone Triste) di Ivan Graziani, che ascoltava con sua mamma in macchina da giovane, durante gli infiniti viaggi in macchina verso la Sicilia.

(ndr: abbiamo già scritto un articolo in merito ai campionamenti nel repertorio di Marracash, se non l’hai ancora letto rimedia subito!)

Alla fine, se si ascolta l’album per intero si ha davvero l’impressione che la pace sia finita: è un racconto denso, crudo, in cui Marracash non risparmia nessuno, compreso se stesso, in cui racconta del suo mondo, del nostro mondo e del loro mondo con una facilità che quasi inquieta, perché veritiera ed impattante.

È finita la pace: Marra è tornato