“Ora” è il nuovo album dei Palmaria, uscito il 21 novembre per peermusic. Il duo alt-pop ci ha regalato un viaggio musicale intimo ed universale, che ha toccato le corde del presente, dell’ora, dell’attimo. Composto da nove tracce avvolgenti, l’album intrecci testi profondi e sonorità sofisticate che parlano a una generazione alla ricerca di sé e del proprio posto nel mondo.
“Ora” è un album profondamente introspettivo, nato in un periodo di grande cambiamento per voi. Qual è stato il momento o l’esperienza che vi ha spinto a riflettere sull’importanza del presente?
Questo per noi è un tema molto presente da tempo ma che forse ha iniziato a essere preponderante nei nostri brani proprio da quando abbiamo iniziato a confrontarci più spesso con i testi in italiano. I primi brani scritti per questo album corrispondono ai nostri primi ‘ritorni’ in Italia da Londra, nonostante amassimo l’energia della grande città, il tempo speso nei nostri luoghi d’origine non ci bastava mai e forse proprio da questi momenti è la nata la voglia di tornare e di vivere sempre più il presente.
Nei testi emergono temi universali come vulnerabilità, insicurezza e aspettative. Quanto di queste emozioni riflette il vostro vissuto? Scrivere e comporre è stato un percorso terapeutico?
Tutte, sono molto forti per noi e per il percorso che abbiamo scelto ma le riscontriamo spessissimo anche con amici e conoscenti che hanno fatto scelte più convenzionali. Sembra che siano temi generazionali, dovuti anche sicuramente ai tempi di grande incertezza e cambiamento che stiamo vivendo da qualche anno a questa parte. Comporre questo disco è stata decisamente una terapia che ci ha rassicurati e aiutati a superare momenti di grande cambiamento e vulnerabilità.
In “Domani” si percepisce un futuro incerto, in “Granelli” un senso di immobilità, di piani irrealizzati. La scelta di esistere nell’ “ora” è un atto di ribellione o di accettazione?
Vivere nel presente per noi non significa non fare piani o non sognare in grande, ma non perdersi quello che ci succede mentro lo stiamo facendo. Come diceva ‘qualcuno’: ‘life is what happens to you when you’re busy making other plans’. È un atto di ribellione nei confronti della società dei risultati e delle finte narrazioni create dai social media.
In “Ora” consolidate l’equilibrio tra sonorità internazionali e italiane. Come riuscite a mantenere questa armonia?
Grazie, per noi questo è un grande complimento. Lo abbiamo fatto seguendo sempre il nostro gusto e collaborando con producer veramente bravi. È un momento di grande fermento per la musica italiana e finalmente tutto questo comincia a riflettersi anche nei sound e nei progetti, soprattutto dei più giovani.
Avete collaborato con artisti come Fudasca e Golden Years, arricchendo il sound dell’album. Come avete scelto questi collaboratori e come hanno influenzato il risultato finale?
Ci teniamo a citare anche Emanuele Triglia, Pierfrancesco Pasini e Gianluca Cancelli, tutti sono stati scelti per una affinità al nostro gusto e hanno dato dei contributi decisivi. Anche se questo è un album introspettivo e a di cui abbiamo curato moltissimo anche la produzione, è stato bello far intervenire degli artisti che hanno saputo aggiungere un loro tocco personale, aiutandoci a raggiungere un risultato ancora migliore.
In questo disco, per la prima volta, vostri testi mescolano italiano e inglese, creando un’identità sonora unica. Cosa vi guida nella scelta della lingua per ogni brano?
Quasi sempre è una questione istintiva, se poi, come a volte accade non c’è alcun tipo di ‘schema’ interveniamo per mettere un po’ di ordine. Fa eccezione ‘Godspeed / Fili d’Erba’, che è stata scritta di getto e che abbiamo deciso di mantenere con il flusso di coscienza con cui è nata.
Dopo l’esperienza londinese e il ritorno in Italia, come è evoluto il vostro approccio alla musica? Quali cambiamenti avete notato nel vostro processo creativo?
La cosa per noi più bella della capitale inglese è che la scena musicale è estremamente variegata e spesso viene premiata proprio l’unicità dei progetti. Questo spinge gli stessi artisti a lavorare proprio sul creare una propria identità unica, questa è l’esperienza più importante che cerchiamo di applicare al nostro processo creativo.
Suonare al Sziget Festival è stato un traguardo importante. Qual è stato l’impatto di quell’esperienza sulla vostra carriera e sul vostro modo di concepire la musica?
È sempre bello suonare a festival di questo tipo per confrontarsi con un pubblico internazionale e molto aperto, l’atmosfera era davvero elettrica e abbiamo anche avuto la fortuna di assistere a concerti di artisti incredibili come Loyle Carner e Viagra Boys.
“Ora” sembra catturare le emozioni e le difficoltà di una generazione. Qual è il messaggio che vorreste trasmettere ai vostri coetanei?
Lo stesso messaggio che cerchiamo di dare anche a noi stessi, vivere il presente e non smettere di portare avanti i nostri progetti.
I 30 anni sono spesso associati a una corsa contro il tempo tra carriera e vita personale. Qual è il vostro punto di vista su questa fretta e sulla pressione di “dover essere giovani e nuovi”?
Questa pressione esiste ma cerchiamo di non farci influenzare, come detto prima spesso le persone recepiscono di più quello che raccontiamo di vero, quindi ha poco senso dal nostro punto di vista ‘forzare’ la propria musica. Pensiamo a quegli artisti che hanno passato i 30, i 40, i 50 etc. e continuano a raccontare la propria vita e le proprie emozioni e non per questo non hanno un seguito, tutt’altro.
Se doveste rappresentare il vostro personale “qui e ora” con un momento della giornata, quale scegliereste e perché?
Se siamo in fase di scrittura spesso ci piace iniziare la giornata con una passeggiata, senza telefoni e senza distrazioni, abbiamo la fortuna di abitare vicino al mare e questo ha un grande effetto calmante e terapeutico per noi, ci fa stare bene e ci riporta sempre “a casa”.