La tecnologia fa bene alla musica? In quest’epoca la musica – e noi con essa – gode dei privilegi che la tecnologia offre. Portiamo ovunque con noi la nostra colonna sonora, possiamo farci condizionare al meglio l’umore grazie alla possibilità di poter ascoltare i nostri artisti preferiti al mattino nel tragitto per andare verso il lavoro, possiamo caricarci durante un allenamento con le solite playlist “ad alta intensità”, e farci coccolare nei momenti bui dalle nostre canzoni preferite. 

Eppure, mai come oggi l’esperienza musicale sta vivendo un curioso paradosso: sembra che, in un mondo iperconnesso, la musica stia diventando sempre più un’esperienza individuale e isolata.

Di fronte all’incessante fruizione musicale resa possibile dalla tecnologia viene a mancare la sfera sociale della musica. La musica, infatti, nasce per essere un’esperienza collettiva, non individuale. 

Oggi sui social media assistiamo a una vera e propria esplosione di contenuti musicali, tra cui cover virali, piccoli concerti domestici e performance individuali realizzate da musicisti, spesso amatoriali, che si esibiscono in spazi privati come il proprio salotto. Questi artisti sfruttano la portata globale e la natura democratica delle piattaforme online (come Instagram, TikTok o YouTube) per condividere la loro musica con un vasto pubblico, senza dover passare per le tradizionali vie di distribuzione o approvazione. Il musicista odierno deve anche essere perciò un social media creator se vuole avere un pubblico, il che implica un impegno costante ed anche una grande attenzione nella gestione di tutto il lavoro da affrontare, poiché il mercato digitale può portare l’artista a distrarsi dalla missione primaria, ovvero il fare musica.  

Se da un lato i social permettono di accedere a un pubblico globale e di interagire con esso, dall’altro ci si ritrova a trasformarsi in intrattenitori virtuali, e diventiamo sempre più privati della dimensione fisica e materiale del suono: abituandoci ad ascoltare qualsiasi genere musicale ed artisti su supporti tecnologici, ci allontaniamo sempre di più dall’ascolto sonoro emesso da un reale strumento musicale.  

Allo stesso tempo per strada e nei luoghi pubblici, è difficile non notare la diffusione di cuffie sempre più grandi e tecnologiche, accessori che creano un mondo sonoro privato, isolante e impenetrabile. Sembra quasi che ciascuno di noi neghi e rifiuti talmente tanto la realtà esterna che preferisce vivere immersi nella propria sfera intima. 

Di questi concetti e riflessioni ne parlò Michael Bull nel 2006 nella sua pubblicazione Sound Moves: iPod Culture and Urban Experience. Riprendendo, esplorando e ampliando le riflessioni culturali di Adorno e della Scuola di Francoforte, il prof. Bull pose una riflessione critica sulla crescente personalizzazione dell’esperienza sonora e sull’impatto che ha nella vita urbana, invitando a studiare questo fenomeno per comprendere al meglio la società odierna.  

Per il prof. Bull, l’iPod permette agli individui di isolarsi dal rumore delle città e sostituirlo con una musica scelta appositamente. Questa capacità di “filtrare” l’ambiente circostante crea una sorta di “bolla sonora”, in cui l’ascoltatore è presente nello spazio pubblico ma può allontanarsi emotivamente e sensorialmente da esso. Il dispositivo diventa così uno strumento per la gestione delle emozioni e perciò di protezione della propria sfera emotiva, permettendo di regolare il proprio stato d’animo attraverso la musica.  
Tuttavia, Michael Bull invita a considerare i rischi che derivano dall’uso eccessivamente individualistico della tecnologia. L’atto di ascoltare musica si è trasformato in un’esperienza privata come risposta conservativa all’espandersi del caos del mondo circostante. 

La sfida, quindi, è trovare un equilibrio tra i benefici che la tecnologia offre – come l’accesso immediato e illimitato alla musica – e il recupero della dimensione sociale ed esperienziale che la musica ha sempre avuto. Forse la soluzione non risiede nel rinunciare alla tecnologia, ma nel riscoprire modi per utilizzarla in modo più collettivo e partecipativo, per esempio attraverso esperienze musicali sia digitali che reali, o nella valorizzazione di eventi che uniscono fisicamente le persone. Inoltre, sembra emergere sempre più un trend che auspica il ritorno di vinili e CD, una reazione al crescente disgusto verso lo smartphone, ormai diventato fin troppo ‘intelligente’. 

A cosa porterà l’isolamento tecnologico nella fruizione musicale? Questo fenomeno pone grandi riflessioni anche contrastanti e irrisolte, perciò, anche se appare forse intuitivo, solo il tempo e l’evoluzione musicale potranno darci risposte.

La tecnologia fa bene alla musica?