Un linguaggio musicale, misterioso, profondo: il dialetto permette di entrare in una dimensione di intimità altrimenti inaccessibile ed è in grado di emozionare senza necessariamente conoscerlo. 

In musica, il dialetto ha una tradizione secolare – fortunatamente – dura a morire che sta trovando negli ultimi anni rinnovate forme di espressione.

La storia del dialetto in musica in Italia è ricca di esempi virtuosi che coniugano le tradizioni e radici della penisola alle contaminazioni internazionali. Parliamo di “Creuza de mä”, album del 1984 di Fabrizio De André, cantato interamente in genovese o della discografia di Pino Daniele, capace di unire il napoletano, il blues e l’american english in una mescolanza di generi e sperimentazioni linguistiche.

L’uso del dialetto permette di ampliare il raggio della creatività artistica e riesce, nonostante le barriere linguistiche, a superare i confini geografici e le dinamiche del mercato discografico.

Un prodotto apparentemente lontano dal pubblico di massa come un dialetto regionale riesce invece a coinvolgere ascoltatori eterogenei, creando forme di viralità inaspettate.

Uno dei casi più recenti è quello di Serena Brancale che con la sua “Baccalà” in dialetto barese ha raggiunto numeri da record, portando il dialetto pugliese oltre i confini italiani.

Secondo Serena Brancale “il dialetto è una lingua internazionale, il nuovo inglese” ed effettivamente l’uso di forme dialettali si sta espandendo nelle direzioni più disparate.

Pensiamo al successo di Geolier che con il suo napoletano quotidiano e grazie allo stile “scrivo come parlo” è riuscito a far modificare il regolamento dello scorso Festival di Sanremo che fino all’edizione precedente prevedeva solo brani che fossero – almeno in parte – in lingua italiana.

Gli esempi sono molteplici, dal jazz-funk partenopeo dei Nu Genea, che spaziano tra il napoletano e il francese, al siracusano di Marco Castello che fa del suo dialetto uno strumento di critica che eleva ulteriormente la sua produzione artistica. Indipendente tra gli indipendenti, Marco Castello sembra raccogliere il testimone di Pino Daniele, nonostante le diverse origini, sperimentando, con un crossover linguistico unico, l’unione tra italiano e dialetto e tra dialetto e inglese.

Il suo ultimo singolo “Muro”, in collaborazione con RBSN, si divide tra inglese e siracusano, creando sonorità nuove e una forma di espressione artistica ancora da esplorare.

Dal linguaggio di nicchia della tradizione regionale, alla quotidianità di certe aree della penisola, il dialetto gioca un ruolo prezioso nel panorama musicale italiano, permettendo di raccontare la realtà pura della provincia, la poesia delle radici e l’emarginazione di certi contesti sociali che non possono essere raccontati con la stessa intensità in altro modo.

“Il dialetto è mondiale, è il nuovo inglese”