Pubblicare un singolo è una cosa semplicissima: basta un computer, una interfaccia audio, un microfono, delle cuffie e una scelta tra i tanti distributori digitali disponibili. In meno di due settimane, il tuo singolo può essere ascoltato in tutto il mondo. 60mila è stato infatti l’ammontare delle release discografiche giornaliere annunciato da Spotify nel 2021; un dato che è cresciuto nel 2023, arrivando a raggiungere le 100mila nel 2023. Questa democratizzazione ha permesso sì a tanti artisti emergenti che in passato non avrebbero avuto accesso al mercato, di farsi strada, ma non ne garantisce, tuttavia, un posto all’interno dell’industria musicale: le major si sono adattate rapidamente al nuovo mercato, consolidando la loro egemonia grazie agli accordi con le principali piattaforme di streaming.

Il risultato? una corsa all’ascolto senza fine. L’enorme quantità di nuove canzoni pubblicate ogni giorno, infatti, rende impossibile tenere il passo, settimana dopo settimana. Questo sovraffollamento, che colpisce tanto i piccoli indipendenti quanto i grandi nomi, ha trasformato ogni uscita in un evento effimero, destinato a essere rapidamente dimenticato.
In un mondo in cui il consumismo fa da padrone un disco fa platino in una settimana e la settimana dopo è già sepolto da tutto il resto. Il mercato è perfettamente concorde ai principi del fast fashion, e per avere dei risultati così immediati bisogna scendere a compromessi: creare un contenuto estremamente leggero, semplice e poco impegnato, così facendo si riesce ad accontentare ogni tipologia di persona, creando una massa sempre meno attenta, prediligendo un ascolto spensierato ed orecchiabile, ma soprattutto cercando di omologarsi il più possibile a se stessa. L’enorme archivio che contiene la musica globale, paradossalmente, è anche il suo cimitero, i brani resteranno sepolti nei server per anni, senza che nessuno ne sappia dell’esistenza.

Un tema che voglio affrontare è quello della validità musicale: come in passato la musica di spessore faceva la storia anche oggi è così e, per lo stesso principio, anche in passato c’era tantissima musica di bassa qualità. Il rapporto è lo stesso, ma le uscite si sono moltiplicate di anno in anno.
Ad oggi sul mercato c’è tanta musica priva di valore oggettivo perché tutti possono pubblicare, per questo si ha la percezione che la situazione stia peggiorando rovinosamente. C’è una piccola, ma grande, differenza fra validità oggettiva e validità artistica del contenuto. Per introdurre questo concetto voglio parlare del rapporto fra musica e intelligenza artificiale: l’AI è così potente da poter creare una canzone orecchiabile, che suoni in scala, con una voce intonata e strutture abbastanza complesse, questo non vuol dire che sia un contenuto artistico, semplicemente riesce ad arrivare ad una validità oggettiva senza creare nuove concezioni, può semplicemente riprodurre ciò che è stato già fatto dall’uomo.

 Il rapporto fra musica e intelligenza artificiale è strabiliante: ciò che riesce a riprodurre l’AI non è così scontato e per questo ci spaventa, ma essa è totalmente innocua, sarà semplicemente un ulteriore strumento di creazione come lo è stato l’autotune. 

La musica per essere arte deve superare la totale oggettività e così facendo diventa un oggetto comunicativo fine a sé stesso.La soggettività entra a far parte dell’apprendimento dell’opera e la canzone diventa un “essere vivente”. L’oggettività serve a decretare la validità musicale e non artistica, suonare una singola nota a tempo è oggettivamente musica, ma non è arte. La concezione artistica inizia quando essa è oggettivamente musica e lo sperimentale diventa arte, il confine è labile fra sperimentale e oggettività musicale, come lo è fra sperimentale e arte. Essa è un organismo che vive grazie alle emozioni di chi crea e riesce a comunicare in eterno il pensiero dell’artista che diventa l’obiettivo dell’opera.

Non bisogna avere paura di cosa sta succedendo alla musica, stiamo semplicemente vivendo l’arte del cambiamento e dell’evoluzione. 

Il consumo della musica: il labile confine fra oggettivo e artistico